a cura del Dott. Emanuele Caggegi
Nel dinamico scenario economico globale, l'internazionalizzazione rappresenta una leva strategica per la crescita e la competitività delle imprese. Tuttavia, questa espansione oltre confine porta con sé implicazioni fiscali di primaria importanza che richiedono una gestione attenta e consapevole. Tra le questioni più delicate emerge il tema dell'
esterovestizione societaria, un fenomeno che pone al centro l'effettiva residenza fiscale di società ed enti con interessi o attività all'estero.
Se sei un imprenditore o una partita IVA con un business che opera o ha partecipazioni al di fuori dell'Italia, comprendere a fondo le dinamiche dell'esterovestizione è cruciale per evitare costosi contenziosi con l'Amministrazione Finanziaria e garantire la
consulenza fiscale e tributaria più adeguata al tuo percorso imprenditoriale. Questo articolo, redatto dal nostro
studio di commercialisti online, mira a fare chiarezza su questo argomento complesso, fornendoti informazioni utili e spunti pratici per tutelare la tua attività in Italia.
Definizione e rilevanza della residenza fiscale per società ed enti
Prima di addentrarci nel concetto di esterovestizione, è fondamentale comprendere come viene definita la residenza fiscale per le società e gli enti nella normativa italiana. L'articolo 73 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) stabilisce che un soggetto giuridico è considerato residente in Italia se per la maggior parte del periodo d'imposta (generalmente 183 giorni, 184 in caso di anno bisestile) sussiste almeno uno dei seguenti requisiti:
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Sede legale: un elemento formale, facilmente identificabile con il luogo di registrazione della società.
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Sede dell'amministrazione: un elemento sostanziale che coincide con il luogo in cui si svolge l'attività direttiva e amministrativa "apicale" dell'impresa, ovvero dove vengono prese le decisioni strategiche e operative fondamentali. Questo non coincide automaticamente con la sede della capogruppo, se estera.
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Oggetto principale dell'attività: l'attività essenziale concretamente svolta per realizzare gli scopi primari indicati dalla legge, dall'atto costitutivo o dallo statuto. In mancanza di tali documenti in forma pubblica o autenticata, si fa riferimento all'attività effettivamente esercitata in Italia.
Essere considerati residenti fiscalmente in Italia comporta l'assoggettamento a tassazione in Italia per i redditi ovunque prodotti nel mondo (il principio della "worldwide taxation"). Comprendere questi criteri è il primo passo per valutare correttamente la propria posizione fiscale e la necessità di una
consulenza societaria mirata.
Esterovestizione: quando la localizzazione estera diventa "fittizia"
L'esterovestizione si configura quando una società o un ente, pur avendo formalmente la propria sede legale all'estero, viene di fatto gestita e amministrata in Italia. Questa situazione, spesso motivata dalla ricerca di un regime fiscale più vantaggioso, può essere contestata dall'Amministrazione Finanziaria qualora lo stanziamento estero assuma i connotati di "artificiosità" o "fittizietà". In questi casi, il diritto di stabilimento estero potrebbe non essere ritenuto operante, con la conseguente applicazione della tassazione nel "reale" Stato di residenza, ovvero l'Italia.
L'Amministrazione Finanziaria, nell'ambito delle sue dinamiche accertative nella dimensione internazionale, pone particolare attenzione alla verifica dell'effettiva residenza delle società, al fine di attrarre il gettito fiscale in Italia. La contestazione di esterovestizione si basa principalmente sulla prova che la sede dell'amministrazione effettiva si trovi nel territorio italiano.
La presunzione di esterovestizione (art. 73, comma 5-bis, TUIR): un'inversione dell'onere della prova
Un elemento cruciale nella lotta all'esterovestizione è rappresentato dall'articolo 73, comma 5-bis, del TUIR. Questa norma introduce una presunzione "legale relativa" di esterovestizione che, al verificarsi di specifici presupposti, considera esistente in Italia uno dei tre requisiti per la residenza fiscale (la sede amministrativa), invertendo l'onere della prova a carico del soggetto che controlla il veicolo societario estero.
La presunzione si applica qualora:
1. Un soggetto residente nel territorio italiano detenga, direttamente o indirettamente, il controllo di diritto di un'entità estera (ai sensi dell'articolo 2359 del Codice Civile, senza considerare i voti spettanti per conto terzi).
2. L'entità estera sia a sua volta, alternativamente:
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Controllata, anche indirettamente, da soggetti residenti in Italia.
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Amministrata da un consiglio di amministrazione (o altro organo di gestione) composto in prevalenza da soggetti residenti in Italia. La residenza degli amministratori è verificata secondo le regole ordinarie previste per le persone fisiche dall'articolo 2 del TUIR.
Al verificarsi di questi presupposti, si presume che la sede amministrativa della società estera si trovi in Italia. Sarà quindi onere del contribuente fornire adeguata prova contraria dell'effettiva residenza all'estero, dimostrando che il luogo in cui vengono prese le decisioni strategiche e si svolge la gestione operativa si trova effettivamente al di fuori del territorio italiano. Questa prova non può basarsi su una semplice affermazione, ma deve essere suffragata da elementi concreti e documentali.
Il caso Dolce & Gabbana (cassazione n. 33234 del 21.12.2018 e n. 43809 del 30.10.2015)
Immagina la scena: due famosissimi stilisti italiani, il cui marchio risuona in tutto il mondo. Ecco, stiamo parlando proprio del caso Dolce & Gabbana, un vero e proprio terremoto nel mondo della fiscalità internazionale. Cosa è successo? L'Agenzia delle Entrate italiana ha contestato la residenza fiscale di una società lussemburghese, parte del loro gruppo. Secondo l'accusa, questa società, pur avendo sede legale in Lussemburgo, doveva essere considerata residente in Italia. Il motivo? Si presumeva che il vero "centro decisionale" fosse a Milano, dove si trovava la casa madre italiana che utilizzava i marchi concessi in licenza dalla società lussemburghese. Inizialmente, l'Amministrazione finanziaria aveva vinto nei primi gradi di giudizio, sostenendo che la localizzazione estera fosse solo un modo per ottenere indebiti risparmi fiscali. Ma la storia non finisce qui. Dolce & Gabbana hanno fatto ricorso in Cassazione, puntando su due aspetti cruciali: la libertà di stabilimento garantita a livello comunitario e la corretta interpretazione della "sede dell'amministrazione effettiva".
La Cassazione, in questo caso specifico, ha ribaltato la situazione! Ha stabilito che non basta che gli "impulsi volitivi" e le direttive gestionali provengano dall'Italia per considerare automaticamente esterovestita una società estera. Il focus si sposta sulla realtà economica effettiva della società all'estero. Bisogna capire se quella società lussemburghese fosse una semplice "scatola vuota" o avesse una sua sostanza, seppur minima. La Corte ha affermato che solo in presenza di una "costruzione di puro artificio" si può negare il diritto di stabilimento e "riqualificare" la residenza fiscale in Italia. In sostanza, l'esistenza di personale (anche se una struttura minima) deponeva a favore della "sostanza" della società estera. La Cassazione ha dunque sconfessato l'idea che il solo scambio di email tra la capogruppo italiana e i dipendenti lussemburghesi potesse indicare una fittizia localizzazione.
Quindi, il caso Dolce & Gabbana ci insegna che l'Amministrazione finanziaria non può presumere l'esterovestizione solo perché la holding si trova in Italia. È necessario verificare concretamente dove vengono prese le decisioni strategiche e dove l'attività economica viene effettivamente svolta, analizzando la sostanza economica della società estera e non fermandosi alla mera provenienza degli "impulsi volitivi". Questo caso ha segnato un punto importante nella giurisprudenza sull'esterovestizione, spostando l'attenzione dalla mera influenza della controllante alla reale operatività e autonomia della società estera.
Falsi guru, vere tasse? Residenza estera e servizi in Italia sotto la lente del fisco
Sembra una tendenza sempre più diffusa:
guru della finanza e influencer che, pur ostentando residenze fiscali esotiche e conti bancari oltre confine, prosperano vendendo i propri "segreti" e servizi di consulenza al pubblico italiano. Ma attenzione, perché dietro la promessa di facili guadagni e l'aura di internazionalità, si possono celare dinamiche fiscali tutt'altro che trasparenti. Se questi personaggi generano
la maggior parte, se non la totalità, dei loro ricavi dal mercato italiano, se le loro attività promozionali, i corsi, le consulenze e la loro base di clienti sono concentrati nel nostro Paese, allora la dichiarata residenza estera potrebbe sollevare più di un sopracciglio.
Anche per questi individui si potrebbe porre il quesito di dove si realizzi effettivamente
l'oggetto principale della loro attività. Se questa attività si svolge in maniera esclusiva o prevalente in Italia, l'Amministrazione finanziaria potrebbe legittimamente chiedersi se la residenza estera non sia una "
costruzione di puro artificio", ideata principalmente per beneficiare di regimi fiscali più vantaggiosi. In tal caso, si potrebbe indagare su dove si trovi realmente la "
sede dell'amministrazione effettiva" della loro attività: è davvero nel paradiso fiscale di turno o, di fatto, in Italia, dove vengono ideati, promossi e venduti i loro servizi?
In questi casi, non basterebbe un indirizzo postale estero se l'effettiva operatività e il "centro decisionale" rimangono radicati in Italia. Per imprenditori e partite IVA italiane, o per semplici fruitori di servizi, che si affidano a tali figure a loro volta mal consigliate da fantomatici "consulenti" ed
escapologi di turno, è fondamentale essere consapevoli che, in caso di accertamento per esterovestizione a carico del guru, potrebbero emergere problematiche fiscali a cascata. Affidarsi a un
commercialista online che opera nella legalità come il nostro studio o richiedere una
consulenza fiscale e tributaria seria può aiutare a navigare queste acque insidiose, distinguendo tra reali opportunità di investimento e potenziali rischi legati a residenze fiscali di comodo.
Cosa deve provare il contribuente per superare la presunzione di esterovestizione?
Per contrastare efficacemente la presunzione di esterovestizione, il contribuente deve dimostrare un radicamento effettivo della direzione aziendale nello Stato estero. La prassi amministrativa e la giurisprudenza forniscono indicazioni sugli elementi probatori rilevanti, che includono:
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Regolare svolgimento delle riunioni del consiglio di amministrazione all'estero, con relativa documentazione (verbali, convocazioni, evidenza della partecipazione dei consiglieri, biglietti aerei, ricevute di alberghi).
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Effettività della gestione sociale da parte dei membri del consiglio di amministrazione residenti all'estero.
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Presenza di una struttura operativa adeguata all'estero, con locali, personale dipendente (con contratti che indichino il luogo di lavoro), attrezzature e attivi significativi.
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Documentazione relativa all'attività commerciale svolta all'estero, come contratti con clienti e fornitori esteri, corrispondenza commerciale, documenti di trasporto.
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Conti correnti bancari presso istituti locali con movimentazioni finanziarie relative alle attività esercitate all'estero.
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Adempimenti amministrativi e autorizzazioni ottenute nello Stato estero.
È importante sottolineare che questi elementi hanno valenza esemplificativa e non esiste un elenco tassativo o un ordine di prevalenza tra di essi. La valutazione è rimessa all'analisi caso per caso, al fine di garantire la proporzionalità della norma rispetto al fine antielusivo perseguito e la sua compatibilità con la normativa comunitaria sulla libertà di stabilimento.
Il concetto di "costruzione di puro artificio" e la libertà di stabilimento
La giurisprudenza, sia comunitaria che nazionale, ha chiarito che la fittizietà di un insediamento estero può essere contestata solo in presenza di costruzioni societarie "di puro artificio", create al solo scopo di ottenere un illegittimo risparmio d'imposta attraverso l'abuso della libertà di stabilimento. È pienamente legittimo svolgere attività in un altro Stato membro, anche a bassa fiscalità, purché la controllata abbia una propria sostanza economica e non rappresenti un mero schermo.
La Corte di Cassazione ha affermato che, come per il caso Dolce & Gabbana, la residenza fiscale italiana di controllate estere non può essere automaticamente accertata sulla base del solo fatto che gli impulsi volitivi e le direttive gestionali provengano dall'Italia. È necessario verificare se la controllata estera sia "reale" o una "costruzione di puro artificio".
Doppia residenza e la prassi internazionale (modello OCSE)
Qualora l'Amministrazione Finanziaria contesti la residenza estera e la riconosca in Italia, si può verificare una situazione di doppia residenza, in cui la società è considerata residente sia nel Paese estero che in Italia in base alle rispettive normative. In questi casi, è necessario risolvere il "conflitto di residenza" attraverso le Convenzioni contro le doppie imposizioni, generalmente redatte secondo il Modello OCSE.
Storicamente, l'articolo 4, paragrafo 3, del Modello OCSE utilizzava la "sede di direzione effettiva" come criterio dirimente ("tie-breaker rule"). Tuttavia, la versione più recente del Modello OCSE (post 2017) prevede una procedura di mutuo accordo tra le autorità competenti dei due Stati per dirimere i casi di doppia residenza. Le Convenzioni prevalgono sulla normativa nazionale, salvo disposizioni interne più favorevoli al contribuente.
Rapporti tra esterovestizione e disciplina delle società estere controllate (CFC)
È importante comprendere la relazione tra l'esterovestizione e la disciplina delle Società Estere Controllate (CFC) di cui all'articolo 167 del TUIR. La normativa CFC prevede la tassazione per trasparenza in capo al soggetto controllante residente in Italia del reddito di una società estera controllata, qualora questa sia soggetta a una tassazione effettiva inferiore a quella italiana e realizzi prevalentemente "passive income".
Tuttavia, l'applicazione della disciplina CFC presuppone che la società controllata sia effettivamente residente all'estero. Qualora operi la presunzione di esterovestizione e la residenza fiscale della società estera venga "riqualificata" in Italia, la disciplina CFC non potrà trovare applicazione. L'Agenzia delle Entrate ha chiarito che la presunzione di residenza in Italia rende incompatibile l'applicazione della normativa CFC.
Inammissibilità dell'interpello preventivo sull'esterovestizione
Un aspetto pratico rilevante riguarda la possibilità di richiedere un interpello preventivo all'Amministrazione Finanziaria per ottenere un "via libera" sulla non applicazione della presunzione di esterovestizione. L'Agenzia delle Entrate ha chiarito che l'istanza di interpello "ordinario" non è ammissibile per questioni legate alla residenza fiscale e alle presunzioni di esterovestizione.
Questo perché la prova contraria richiesta per superare la presunzione si basa prevalentemente su elementi di fatto la cui veridicità e completezza possono essere verificate solo in sede di accertamento fiscale. A differenza delle questioni squisitamente giuridiche, la valutazione degli elementi probatori sull'effettiva sede dell'amministrazione rientra in un "accertamento di fatto" che non è oggetto di interpello preventivo. Pertanto, la difesa del contribuente dovrà essere approntata in sede di verifica o nel successivo contenzioso.
Conclusioni: navigare l'esterovestizione con la giusta consulenza
Il tema dell'esterovestizione societaria è complesso e in continua evoluzione, influenzato dalla normativa nazionale, dalla prassi amministrativa, dalla giurisprudenza e dagli sviluppi internazionali. Per imprenditori e partite IVA con attività o interessi all'estero, comprendere i rischi e le modalità di accertamento è fondamentale per una corretta pianificazione fiscale internazionale e per evitare contestazioni da parte dell'Amministrazione Finanziaria.
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